Scatola dei bottoni / Button box

Scatola dei bottoni / Button box

Nella dispensa di mia nonna, la intravedevo su un alto scaffale di legno, dove regnava: era un barattolo di latta dorata, preziosissimo. Chissà poi perchè l’avevano sempre chiamato scatola, visto che in realtà era un barattolo!

Circondato da quel che rimaneva dell’etichetta, dopo un tenace quanto infausto tentativo di rimozione, si capiva subito che la colla aveva avuto la meglio, lasciando tracce incomprensibili di quello che doveva essere stato il suo uso originario.

E dentro c’erano loro, i bottoni, dei più strani e disparati colori, forme e dimensioni. Alcuni, uguali e legati insieme, erano eredità di uno stesso indumento dismesso perchè logoro o, addirittura, che non c’era più, perchè fatto di lana tornata gomitolo, poi risorta come nuovo capo di abbigliamento.

Poi c’erano anche fibbie e gancetti, ma in netta minoranza.

Era proibita, la maggior parte delle volte. Ma ricordo ancora l’impaziente attesa di poter sentire lo scrosciare dei bottoni rovesciati sul tavolo, quando mi era concesso giocarci.

Ho cercato negli anni di crearne una mia, con scarso successo.

Non la possiedo, ma fa parte di me.

Pendaglio / Pendant

Pendaglio / Pendant

Era la prima settimana della prima media, quando mio padre partì per un viaggio di lavoro. Tornò dal suo viaggio in Sardegna con una bustina piena di pensierini per me e mia sorella, tra i tanti estrasse una collanina che aveva scelto per me. Era d’acciaio, con una parte di legno che ho perso col tempo ed un cordino nero, ormai consunto. “Un coniglio!” esclamai, “Ah non è un cagnolino?” mi rispose. Nessuno dei due ha mai capito cosa fosse e nonostante abbia perso un pezzo io l’ho portata orgogliosamente con me per tutti questi anni.
Oggi non posso più abbracciare mio padre, ma quando ne sento il bisogno tengo stretto quel buffo animaletto, ogni volta che guardo quel coniglietto o cagnolino che sia, ricordo che lui lo ha scelto pensando a me ed io inevitabilmente penso a lui.

Grembiule / Apron

Grembiule / Apron

Un piccolo grembiule nel quale ormai non riesco più ad infilare la testa. Quando lo indossavo ero veramente piccola, avrò avuto circa tre anni. Mamma me lo aveva regalato perché adoravo cucinare con lei, era un modo per stare insieme e sentirci un pò a casa dopo che per lavoro, da sole io e lei, ci eravamo allontanate da quella che era davvero la nostra casa.  Quando lo rivedo mi vengono in mente quei pochi ricordi, forse ricostruiti con il tempo perché ero troppo piccola per ricordarli davvero, di quegli anni che tutto sommato furono felici. Quel grembiule mi faceva sentire così importante! Bianco e pulito mi rimaneva indosso per pochissimo tempo, si sporcava subito di farina, cioccolato o salsa di pomodoro. Quante cose cucinavamo insieme! Pizze, torte di ogni tipo e biscotti buonissimi al profumo di cannella. Credo che sia proprio da questo grembiule e da quegli anni che è nato il mio amore per la cucina.

Videocamera

Videocamera

Ho acquistato la prima videocamera nell’ormai lontano 2009, spesi molto, ma nonostante la perplessità di chi mi stava intorno, riuscii comunque a fare quattro documentari, ammortizzare quella spesa e cominciare il mio nuovo lavoro. Ancora oggi mi occupo di fare video e multimediali per i musei e i beni culturali. Sono quindi molto affezionato a questo oggetto e credo contenga ancora un po’ di quell’energia necessaria per cominciare una nuova avventura. Ora non conservo più la videocamera, ma so esattamente dove si trova, è in buone mani e potrà essere ancora utile per chi, di avventure, deve ancora viverne molte.

Pedule / Boots

Pedule / Boots

“La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi” (Bruce Chatwin). La premessa per spiegare l’insolita scelta dell’“oggetto”, in realtà due: le mie pedule. Ormai vecchie e consumate, mi hanno condotto in giro per il mondo, regalato emozioni, fatto scoprire luoghi e persone indimenticabili. Mi sono servite da freno, mentre scivolavo sulla neve, con una giacca a vento come slitta, tornando stanco dal documentare lunghissime processioni alpine. Hanno visitato con me le tre città più potenti del mondo antico (Roma, Alessandria d’Egitto, Efeso); frequentato per lavoro alberghi di un lusso spudorato ai Caraibi, tra campi da golf e isole private, che mai avrei potuto permettermi; traversato sperduti villaggi armeni, dove una bambina accoglieva  il forestiero con un piatto di mele. Le avevo ai piedi in Libano, circondato da Hezbollah; in Brasile, scivolando pericolosamente in direzione di un coccodrillo; in Russia, saltando di notte da un taxi, per evitare una rapina. Più volte riparate con scarsi risultati, ma come abbandonarle? Un nuovo viaggio e nuovi amici le aspettano.

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