Valigia / Suitcase

Valigia / Suitcase

Estate 1968…

…ogni anno la stessa storia, arriva Luglio e con lui il viaggio in Calabria con mia sorella, mamma e papà è una sensazione bellissima che ogni anno bramo e aspetto, finalmente ci siamo la valigia è chiusa, si parte…

Mi ricordo ancora il giorno in cui me l’hanno regalata, era il natale del ’65 e sembrava talmente grande da poter contenere anche me. Mi piace prenderla, riempirla e metterci dentro un pò della mia Genova, riesco a ricordarmi ogni dettaglio di lei, forse è stato il primo spazio alla quale ho capito di appartenere. 

Il primo luogo in cui tutto quello che ci mettevo poteva essere definito mio.
La mia valigia, le mie estati lontane i miei ricordi sbiaditi.

Francesca Q.

Valigia / Suitcase

Valigia / Suitcase

Non è una valigia qualsiasi: è quella che mi ha accompagnato nel viaggio più emozionante e più intenso della mia vita. Un viaggio per arrivare dall’altra parte del mondo, lungo due giorni, faticoso, pieno di pensieri e incertezze condivisi con mio marito. Non l’ho comprata: mi è stata regalata da un’amica che anni fa ha compiuto il mio stesso percorso. Prima di partire le ho attaccato un nastro verde, per ritrovarla più facilmente in caso di smarrimento. In realtà,  a metà del viaggio, ho perso il bagaglio con i nostri vestiti, ma questa piccola valigia mi è rimasta sempre vicina: mi ha fatto da cuscino, ha sorretto la mia stanchezza in lunghissime ore d’attesa in  aeroporti sperduti in un paese immenso, ha accolto il mio sconforto per non riuscire a comunicare in una lingua dai suoni difficili da pronunciare;  ha vissuto con me il susseguirsi delle albe, ha visto pianure che si distendevano per ore sotto l’aereo e fiumi minacciosi nel loro grigio corso. Durante il volo è stata chiusa nello scomparto per il bagaglio a mano, ma più volte ho sentito il bisogno di controllare che fosse al suo posto col suo prezioso contenuto di giochi per il bambino che stavo andando a conoscere; il bambino che è il figlio nato non dalla mia pancia, ma dal mio cuore; il bambino che ho amato prima ancora di vederlo, appena mi è stato detto il suo nome, appena mi è stata raccontata la sua storia, appena ho capito il suo coraggio.

Ora la valigia è qui in casa e con me aspetta la sentenza di un giudice, per poter essere riempita di piccoli vestiti e ripartire. Ogni tanto guardo il nastro verde, che le è ostinatamente rimasto attaccato da quel lungo viaggio, e penso che in questa lunga attesa sono come quel nastro: ostinatamente attaccata all’immagine di quel bambino nato dall’altra parte del mondo.

Pedule / Boots

Pedule / Boots

“La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi” (Bruce Chatwin). La premessa per spiegare l’insolita scelta dell’“oggetto”, in realtà due: le mie pedule. Ormai vecchie e consumate, mi hanno condotto in giro per il mondo, regalato emozioni, fatto scoprire luoghi e persone indimenticabili. Mi sono servite da freno, mentre scivolavo sulla neve, con una giacca a vento come slitta, tornando stanco dal documentare lunghissime processioni alpine. Hanno visitato con me le tre città più potenti del mondo antico (Roma, Alessandria d’Egitto, Efeso); frequentato per lavoro alberghi di un lusso spudorato ai Caraibi, tra campi da golf e isole private, che mai avrei potuto permettermi; traversato sperduti villaggi armeni, dove una bambina accoglieva  il forestiero con un piatto di mele. Le avevo ai piedi in Libano, circondato da Hezbollah; in Brasile, scivolando pericolosamente in direzione di un coccodrillo; in Russia, saltando di notte da un taxi, per evitare una rapina. Più volte riparate con scarsi risultati, ma come abbandonarle? Un nuovo viaggio e nuovi amici le aspettano.

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